Sindrome della capanna al post lockdown, una guida utile per scoprire se anche tu manifesti i sintomi, offerta dalla Dott.ssa Vanessa Mele Psicologa ad Anzola e Valsamoggia Calcara

Movida o sindrome della capanna? Come reagiamo al post lockdown?


Movida o sindrome della capanna? Come reagiamo al post lockdown?
In questa fase, successiva al lockdown, stanno emergendo alcune reazioni opposte, entrambe disfunzionali. Da una parte troviamo una movida sfrenata, senza precauzioni che riflette un atteggiamento di rimozione di negazione del rischio. Dall’altra troviamo persone che invece hanno molta paura a lasciare la propria abitazione, esasperando in senso fobico i rischi, che vengono vissuti, come in ogni fobia appunto, in modo sproporzionato rispetto al reale pericolo. Come mai si verifica questo, dopo ver tanto desiderato poter uscire di casa?

È un fenomeno conosciuto in psicologia come “Sindrome della capanna o del prigioniero” che si può manifestare dopo lunghi periodi di distacco o di allontanamento dalla realtà.

Attenzione: non è un disturbo mentale, ma un insieme di comportamenti psicopatologici legati a specifiche condizioni. È però un malessere che, secondo la Società Italiana di Psichiatria, sta colpendo circa un milione di italiani, come conseguenza al lockdown. La sensazione di smarrimento, paura, insicurezza, ansia comporta il desiderio di rimanere al sicuro in quello che per mesi è stato il proprio rifugio.

Quali possono essere le cause?

Sicuramente ci sono le paure che riguardano la possibilità di contrarre il virus, che ancora non è scomparso. Il pensiero che i propri cari si possano ammalare può creare una elevata angoscia per il futuro. Le paure possono creare paure così invalidanti per le quali l’unico sollievo sembra essere rimanere confinati anche in un minuscolo appartamento.

Credo che però, per la maggior parte dei casi, non sia tanto la paura del contagio a indurla, ma il timore di ritornare alla vita per come era prima.

Se ci pensiamo bene la vita di prima, tra l’altro, non esiste più e dobbiamo essere pronti ad affrontare una serie di cambiamenti, esterni e, soprattutto, interni a noi.

Molte attività si sono complicate a causa dell’utilizzo delle mascherine, della distanza da mantenere, delle code, delle prenotazioni per sbrigare molte delle commissioni che prima erano, invece, più agevoli.

Cosa è cambiato dentro di noi?

Inoltre, lo stop a cui siamo stati costretti per due mesi si fa sentire: non è pensabile tornare alla normalità con un click, come se accendessimo o spegnessimo un interruttore.  La pandemia ci ha trasformato e per alcuni niente tornerà come prima. Nella pausa le persone sono cambiate, possono aver preso delle decisioni, la psiche non si è fermata anche se tutto il resto fuori era fermo, anzi!  Possiamo aver riscoperto quali sono i valori davvero importanti per noi e per direzionare la nostra vita, oppure avere capito che i valori su cui basavamo la nostra vita non sono più attuali. Possiamo avere fatto scelte relazionali: lasciarci o riscoprire l’amore per il nostro partner. Anche il rapporto con il lavoro è cambiato.

Quindi uscire, ricominciare a vivere significa anche potere/dovere agire certe scelte, alcune delle quali implicano importanti cambiamenti, e ci fanno, quindi, paura. Ecco che allora preferiamo rintanarci nel nostro porto sicuro nella nostra zona di confort (solo apparente) anche se questo significa rinunciare alla possibilità e alla libertà di vivere una vita gratificante.

Quali sono le origini di questo disagio attualmente così diffuso?

La cosiddetta sindrome della capanna sembra nascere quando, nel XIX secolo si diffuse negli Stati Uniti la corsa all’oro. I cercatori erano costretti, per trovare l’oro, a rimanere per molti mesi in capanne, isolati e lontano dalla civiltà. Quando tornavano, alcuni di loro presentavano una sorta di rifiuto verso la civiltà, che si presentava con stress, irritabilità, nervosismo. Ecco che venne coniata l’espressione di cui stiamo parlando.

Nonostante il desiderio di tornare alla vita “normale” e riprendere il contatto con la realtà possono manifestarsi sintomi quali paura, ansia, angoscia e veri e propri attacchi di panico.

Vediamo quali sono alcuni dei sintomi con cui si presenta più frequentemente:

  • Insonnia
  • Nervosismo
  • Irritabilità
  • Apatia
  • Scarsa capacità di attenzione e di concentrazione
  • Ansia, paura, angoscia che può arrivare al panico
  • Stanchezza soprattutto mattutina, necessità di riposare spesso

Come possiamo gestire questo stato emotivo?

  1. Intanto è bene percepirlo, accettarlo e pian piano imparare a guardarlo in faccia: le paure ignorate tornano sempre fuori con gli interessi.
  2. Iniziamo a prenderci cura di noi attraverso tutte quelle attività piacevoli che per mesi non abbiamo potuto svolgere (sia dal punto di vista estetico, sia sportivo, sia di socializzazione)
  3. Stabiliamo una routine giornaliera che ci permetta di avere degli obiettivi, di guardare di nuovo al futuro in modo produttivo e creativo.
  4. Cerchiamo di dare un significato a quanto accaduto, anche solo come momento/opportunità per fermarsi e riflettere su quelle che sono le cose importanti della vita. Come approfondito anche nell’articolo sulla resilienza (https://psicobologna.it/resilienza-risalire-sulla-barca-rovesciata/) Nietzsche diceva: “Chi ha un ‘perché’ può resistere a qualsiasi ‘come’
  5. Attraverso l’ascolto di sé, riconoscere se ciò che stiamo vivendo può essere dovuto a disagi o problematiche preesistenti, che questo periodo difficile ha accentuato. In questo caso la cosa migliore è rivolgersi  a un professionista psicologo o psicoterapeuta in grado di fornire l’aiuto necessario.

Sindrome della capanna al post lockdown, una guida utile per scoprire se anche tu manifesti i sintomi, offerta dalla Dott.ssa Vanessa Mele Psicologa ad Anzola e Valsamoggia Calcara